martedì 26 gennaio 2010

Il silenzio


Questa è la logica: la logica, come ben sapeva Nietzsche, è una modificazione dell’istinto, non è la ragione contro l’istinto, ma è l’uomo che ha bisogno di calcolare il mondo per reggere al suo mistero. Nulla di più istintuale della ragione. Educare vuol dire suscitare, liberare nei ragazzi questo istinto di razionalità, perché è dell’istinto capire. Questo istinto non può essere liberato se non c’è lo sforzo e la pazienza del methodos; il logos esige il methodos, ma il methodos, non deve essere mai una cosa "preparatoria a"; ci sarebbe altrimenti il metodo del metodo del metodo del metodo del metodo.. e questo sarebbe metodologismo per cui non si raggiunge mai la cosa. Noi abbiamo abbandonato la responsabilità della cosa rifugiandoci in un generico metodologismo che non la raggiunge mai. La curiosità invita a percorrere il mondo, ma la curiosità diventa dabbenaggine, perdita di tempo e accidia se non si realizza in una conquista di risultato. Si può apprendere bene tutto a partire dal fatto che si sappia fare bene una cosa sola, altrimenti la curiosità diventa peregrinazione superficiale.
Per dare un methodos, a questo odos, ritmo, l’ultima cosa che mi pare importante rilevare è relativa non tanto alle dimensioni del pensiero ma, chiamiamole così, alle condizioni della mente, alle condizioni dell’anima. Tutto quello che ho detto credo che abbia sufficientemente mostrato come il pensiero è comunicazione, e come sia indescrivibile un pensare che non sia comunicare, ma la comunicazione comunica soltanto se c’è un contromovimento che in certo senso la blocca e la critica. La parola risuona solo nel silenzio, la parola originaria della creazione, "e Dio disse". Se non c’è il silenzio, la parola non risuona, c’è la confusione. E’ importante, perché vi sia comunicazione, che questa comunicazione risuoni in un silenzio che non è l’assenza di parola ma è l’ascolto della sua attesa. La parola comunica se è attesa, se non annulla l’ascolto, riportandolo nella performance stessa della comunicazione. Si parlava dei media, della televisione: la televisione annulla l’ascolto perché è implacabile, non fa ascoltare il silenzio e quindi non può sorgere la domanda: "è vero?". In tal modo si sviluppa la mimesi performativa per cui quella parola è sempre un ordine e non è mai una verità, un sapere ascoltare, un sapersi ascoltare. Allora la comunicazione ha bisogno dell’interrogazione, deve risuonare nel silenzio, perché solo nel silenzio la parola può essere accolta come una semente e meditata, altrimenti si vanifica in brusio in rumore.


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