venerdì 25 marzo 2011

Cura del corpo e dell'anima

Seneca saluta il suo Lucilio

Gli antichi avevano la consuetudine, conservatisi fino ai miei tempi, di aggiungere alle prime parole di una lettera: "Se sei in buona salute, va bene, io sono in buona salute". Noi diciamo con giusta ragione: "Se pratichi la filosofia, va bene". Questo significa, appunto, godere buona salute; senza questa condotta di vita l'animo è ammalato e persino il corpo, anche se è dotato di grande energia, è valido come può essere quello di individui forsennati o esaltati.

Pertanto abbi cura sopratutto della salute dell'animo, e successivamente di quella del corpo, che non ti costerà molto, se ti limiterai a mantenerti in forma. E' una grossa sciocchezza, o mio Lucilio, e non si addice per nulla a un uomo colto, spendere tempo nell'allenare le braccia, allargare l'attaccatura del collo e irrobustire i fianchi. Certo, la dieta gladiatoria avrà dato ottimi risultati e le tue masse muscolari saranno aumentate, però non potrai mai eguagliare né la forza né il il poso di un pingue bue. Aggiungi poi che con un bagaglio corporeo di maggior mole l'animo rimane come soffocato ed è meno agile. Perciò contieni quanto più puoi la componente fisica della tua personalità e dà spazio allo spirito.

Molti aspetti negativi si accompagnano a quanti si dedicano a un eccessivo esercizio fisico: anzitutto gli allenamenti, la cui fatica assorbe l'energia vitale e la rende incapace di applicarsi a studi che comportano una certa vivacità mentale, poi l'abbondanza di cibi, che ottunde la sottigliezza dell'ingegno. Inoltre entrano in scena schiavi con pessime note caratteristiche, promossi al rango di allenatori, uomini tutti presi tra l'olio da spalmare sui corpi il vino, gente che si ritiene pienamente soddisfatta della propria giornata se ha sudato a dovere, se per compensare la traspirazione ha tracannato una quantità di bevande, che a causa del digiuno scendono tanto più a fondo nel corpo. Bere e sudare è un regime da dispeptici. Ci sono esercizi facili e di breve durata, che stancano il corpo senza troppi intralci e fanno risparmiare tempo; sono vantaggi che bisogna tenere in gran conto: la corsa e il maneggio di qualche peso e il salto in alto, o, se preferisci in lungo, o il salto, per così dire, dei Salii o, per esprimerti con un termine meno riguardoso, dei tintori. Tra questi scegli quello che vuoi per esercitarti in modo semplice e facile.

Qualsiasi attività fisica farai, torna però ben presto dal corpo allo spirito ed esercitalo di notte e di giorno; lo si sostenta con poca fatica. E' un esercizio che né il freddo né la calura e neppure la vecchiaia potrà ostacolare: abbi cura di un bene che migliora con il passare del tempo.

Non ti invito a stare sempre chino su un libro o sulle tavolette da scrittura; bisogna pure concedere all'animo qualche pausa, ma non al punto di rammollirlo, ma di ricrearlo. Il farsi portare in lettiga dà una certa mossa al corpo e non impedisce lo studio; puoi leggere, dettare, parlare, e nemmeno il passeggiare a piedi ostacola qualcuna di queste attività.

E non trascurare una vigorosa impostazione della voce, man on vorrei proprio che tu la innalzassi gradualmente e con determinate modulazione per poi abbassarla. E se poi ti piacesse apprendere come si cammina correttamente, assumi pure uno di quei personaggi cui la fame ha suggerito nuovi espedienti: eccoti quel tale che dà la giusta cadenza ai tuoi passi, eccoti quell'altro che osserva le tue mascelle mentre mangi, spingendosi fino al punto in cui avrai portato innanzi la sua audacia con la tua pazienza e credulità. E allora? la tua voce comincerà subito a farsi sentire con grida e partendo dai registri più alti? Una graduale concitazione è così naturale che anche i litiganti prendono le mosse dal discorso colloquiale per passare poi allo schiamazzo. Nessun oratore implora alle prime battute l'appoggio leale dei Quiriti!

Dunque nella misura in cui l'ardore del tuo animo ti indurrà a farlo, alza pure la voce contro i vizi, ora con più veemenza ora con più moderazione, conformandoti anche di volta in volta alle tonalità più opportune che la voce stessa ti suggerirà. Quando ne avrai ripreso il pieno controllo, la voce si abbassi in modo contenuto, non cada all'improvviso; abbia toni intermedi e non infierisca con la brutalità di accenti tipica degli ignoranti e della gente di campagna. Dobbiamo tenere questa linea non perché la voce sia esercitata, ma perché esplichi le sue funzioni.

Ti ho alleggerito di un peso non lieve: una sola piccola mercede e una sola massima greca si aggiungeranno a questi favori. Ecco questo insigne precetto: "Una vita stolta è sgradevole e angosciosa, ed è tutta protesa nell'aspettativa del futuro". "Chi lo dice?" tu mi chiedi. Lo stesso autore di prima.¹ Orbene, quale vita pensi sia definita stolta? Quella di Baba e di Isione? Non è così: ci riferiamo alla nostra, si tratta di noi. Una cieca avidità ci precipita verso beni che nuoceranno, che in ogni caso non ci sazieranno mai. Si tratta proprio di noi che saremmo stati soddisfatti già da tempo, se esistesse qualcosa che potesse appagarci; si parla proprio di noi che non pensiamo quanto sia piacevole non chiedere nulla, quanto sia meraviglioso trovarci compitamente sazi e non dipendere dalla Fortuna.

Pertanto, o Lucilio, richiama sempre alla memoria i benefici ce hai ottenuto; allora, dopo aver constatato quanto siano numerose le persone che in questo campo ti precedono pensa al numero di quelli che vengono dopo di te. Se vuoi essere grato agli dei e alla tua stessa vita, pensa quando sono numerosi gli emuli che tu hai superato. Ma che hai da spartire con gli altri? Hai superato te stesso.

Stabilisci un limite che non ti sia possibile superare, anche se lo volessi; si dileguino una buona volta codesti beni invidiosi e validi per chi li spera più di quanto non siano per chi li ha ottenuti. Se contenessero qualcosa di sostanzioso, presto o tardi darebbero qualche soddisfazione, in realtà essi accentuano la sete di quelli che vi attingono. Si lascino perdere lussuose bardature che fanno colpo e quel tanto di bene futuro che la sorte incerta ha in serbo. Ma perché dovrei implorare la Fortuna di concedermeli invece di esigere da me di non pretenderlo? Dovrei accumulare ricchezze scordandomi della fragilità umana? A quale scopo spendere tanta fatica? Ecco, questo giorno è l'ultimo: ammettiamo che non lo sia, però è molto vicino all'ultimo.
Stammi bene.

Seneca - tratto da Lettere morali a Lucilio, lettera numero 15 libro II,
edizione oscar Mondadori.

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